Delle derive michelsiane nelle imprese cooperative

Si è parlato di punti di forza e fattori di debolezza del modello cooperativo, ieri alla prima presentazione romana di "Manager cooperativi", ospiti di Impact Hub

Partendo da come la cooperativa può trovare la sua dimensione di sostenibilità imprenditoriale, tra efficienza economica ed efficacia sociale, identificando le principali sfide manageriali, sottolineando la particolare natura delle relazioni tra board (organo elettivo) e management (che invece dovrebbe essere di natura tecnica, scelto e controllato dallo stesso board). 

Una relazione, quest'ultima, in cui si insinuano spesso le principali criticità del fare cooperativa, come il rischio di derive michelsiane. Il termine è utilizzato nel libro per adattamento al caso di impresa cooperativa della “legge ferrea dell’oligarchia” che Roberto Michels, politologo del secolo scorso, coniò nel 1909 per i partiti politici.

Col crescere dell’organizzazione aumentano i compiti degli amministratori, mentre la possibilità di sorvegliarli si restringe e l’ambito degli obblighi e delle diverse sfere d’azione si allarga, si divide e si suddivide ancora. I soci devon rinunciare a poco a poco ma in misura sempre crescente a diriger di persona, nei singoli casi, gli affari dell’amministrazione, e persino a sottoporla poi a controllo. Essi devono affidare tale incarico agli organi a ciò destinati, ai funzionari stipendiati, accontentandosi pertanto di resoconti più che sommari o di delegare dei revisori. Il controllo democratico si ritrae nei limiti di una sfera oltremodo ristretta. Un numero ognora maggiore di funzioni, già esercitate dalle assemblee autonome e sovrane dei soci, passa nelle mani dei fiduciari. Così si innalza un potente edificio, di struttura complessa.

Queste le parole di Michels. Chiunque abbia esperienza di organizzazioni a base democratica, associazioni o imprese cooperative, non faticherà a cogliere tante analogie. Soprattutto col crescere dimensionale e anagrafico dell’organizzazione, certe dinamiche sono fisiologiche e difficilmente evitabili. 

Se ne possono però mitigare gli effetti, seguendo la riflessione di un altro studioso della democrazia, Norberto Bobbio, che ha spiegato come il “difetto che consiste nella tendenza alla formazione di quelle piccole oligarchie che sono i comitati dei partiti, non può essere corretto che dall’esistenza di una pluralità di oligarchie in concorrenza fra loro” (1978). Insomma, se il valore della democrazia è nella ricomposizione dei tanti interessi di chi compone la compagine sociale, allora essa si combatte attraverso il pluralismo, le pari opportunità nell’accesso alle informazioni e con la libertà di confronto ed espressione (proprio come dovrebbe accadere per le democrazie nei Paesi). 

La proposta contenuta nel libro è dunque di dotarsi di accorgimenti per mitigare questi rischi. Il primo è senza dubbio perseguire e realizzare meccanismi organizzativi tali da assicurare una sostanziale e non solo formale partecipazione. Poi vi sono due principi cardine: 

a) il limite ai mandati degli amministratori, ossia un tetto al numero massimo di anni in cui si può essere eletti per governare una cooperativa; 

b) la fissazione di una predefinita forbice tra le remunerazioni di amministratori e lavoratori (e tra questi ultimi). 

Direttamente o indirettamente, questi capisaldi determinano le condizioni perché il gioco democratico interno ad una cooperativa sia effettivo, non generi rendite di posizione per chi è al governo, siano ridotti quegli incentivi perversi che alzano il livello di azzardo morale di chi si trova a disporre del potere e delle informazioni in modo asimmetrico rispetto agli altri soci. 

Purtroppo, sono ancora poche le cooperative che abbiano fissato tali regole in statuto. E resta ancora incerta la posizione delle associazioni di rappresentanza della cooperazione rispetto al fare di questi semplici precetti una bussola nella loro attività di indirizzo e vigilanza verso le imprese cooperative.

Si dice: "ma se abbiamo dei bravi amministratori, perché costringerci a cambiarli? sarebbe uno svantaggio concorrenziale rispetto alle altre imprese". Vi convince questa argomentazione?

Ne parleremo nei prossimi incontri, a partire da Faenza, il prossimo 7 dicembre.